Alcune norme della L.r 3/2013 sarebbero in contrasto con i principi statali in materia di governo del territorio e tutela del paesaggio e dell’ambiente

Questa legge regionale (leggi qui) ha riformato la vecchia legge urbanistica n. 56/1977, mantenendo tuttavia la struttura della “storica 56” anche per favorire i riferimenti mentali dei tecnici costruiti in 35 anni di applicazione della norma. Tra le molte novità della riforma urbanistica piemontese, il nuovo ruolo del Piano territoriale regionale e del Piano paesaggistico regionale; il debutto della variante “semplificata” agli strumenti urbanistici derivanti da norme e discipline statali o regionali speciali; l’introduzione degli “accordi territoriali” e “accordi di pianificazione” (per la condivisione e concertazione delle scelte delle politiche territoriali) e dei principi della perequazione territoriale e urbanistica, quali strumenti dell’operatività della pianificazione.
Secondo il Governo, alcune norme di questa legge regionale sono in contrasto con i principi statali in materia di tutela del paesaggio, di governo del territorio e di tutela dell’ambiente oltre che con la normativa comunitaria. In particolare, le disposizioni di cui agli articoli 4, 16, 18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e 61 della legge presenterebbero degli aspetti di illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma lett. s), 117, terzo comma e 117, primo comma, della Costituzione.
Interventi di ristrutturazione edilizia
Per quanto riguarda l’articolo 27 impugnato dal Governo, esso modifica la lettera d) del comma 3 dell’articolo 13 della L.R. n. 56/1977, prevedendo che “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alle normative antisismica, di contenimento dei consumi energetici e di produzione di energia mediante il ricorso a fonti rinnovabili”.
Secondo il Governo questa norma regionale contrasta con la definizione degli interventi edilizi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 (T.U. edilizia). Tale disposizione, infatti, prevede che “Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 309 del 2011, ha affermato che “sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall’altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato”.
Proprio con riferimento a quanto previsto all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, la Consulta, dopo aver osservato che un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente, configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia e che le uniche eccezioni ammesse sono «le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica», ha sottolineato che anche la successiva legislazione statale in materia edilizia (e in particolare l’art. 5, commi 9 e ss., del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70), nel regolare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di volumetria e adeguamenti di sagoma, non ha qualificato tali interventi come ristrutturazione edilizia, né ha modificato la disciplina dettata al riguardo dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Alla luce del pronunciamento della Consulta, il Governo ritiene la norma di cui all’art. 27 della legge regionale n. 3/2013 “non conforme al principio fondamentale in materia di governo del territorio di cui all’art. 3, d.P.R. n. 380/2001 e, quindi, in contrasto con l’art. 117, comma 3, della Costituzione”.
Cambio di destinazione d’uso
Sempre in materia di “governo del territorio”, il Consiglio dei Ministri ha ritenuto che i principi fondamentali di cui agli articoli 6, 10 e 22, comma 3, lett. a), del d.P.R. n. 380/2001 siano stati violati dall’articolo 61 della nuova legge urbanistica piemontese. La norma di questo articolo non prevede la necessità di titolo abilitativo per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili relativi ad unità non superiori a 700 metri cubi, ancorché compatibili con le norme di attuazione del PRG e degli strumenti esecutivi.
da www.casaeclima.com